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Ansia e Somatizzazioni: cosa fare con il paziente – Le Scienze Integrative Applicate 1

Inauguriamo con questo articolo una serie di casi pratici, per capire concretamente come lavorare e avere il massimo dalle Scienze Integrative e dai suoi schemi, modelli, tecniche e strategie applicative.

Presenteremo casi reali, di cui abbiamo selezionato per ognuno alcune fasi e fattori salienti, in modo da poter progressivamente prendere dimestichezza con un sistema articolato e che presenta diverse possibilità di intervento. 

CASO 1

Prendiamo in considerazione un primo caso per capire come questi modelli e strumenti possono aiutare noi e i nostri pazienti a includere diversi elementi di analisi e lavoro fin da subito.

Partiamo con una situazione semplice e inizialmente circoscritta, per poi allargare progressivamente la prospettiva.

Arriva un paziente ansioso e che manifesta i tipici segni di somatizzazione alla cervicale e/o alla bassa schiena. In questo caso, ad esempio, possiamo prendere lo schema degli Switch e partire dal basso, dedicandoci ai flussi mentali, ideativi, corporei, posturali che sono in gioco.

Tra i tanti elementi possibili da analizzare, concentriamoci un attimo su un dettaglio poco noto nella maggior parte degli approcci psicoterapici, anche in quelli cosiddetti corporei. Si tratta di un aspetto fondamentale da toccare per garantire un intervento ancora più efficace del solito:

si tratta di analizzare l’esatta anatomia funzionale del movimento di una risposta di stress e capire com’è possibile regolarla a partire dal tono muscolare.

Nel nostro esempio, è importante spiegare al paziente come funziona il movimento biomeccanimo che porta dalla risposta cronica di adattamento alla sua problematica posturale: se il diaframma si accorcia e rimane contratto più del necessario, le curve del collo e lombare aumentano, di conseguenza la testa si sposta in avanti per compensare.


Una persona, vista di profilo,
dovrebbe avere la nuca allineata con le scapole e l’osso sacro
.

Negli studi in cui ricevo c’è sempre una porzione di parete libera da mobili e quadri. Ora potete intuire il motivo. Mi serve perché spesso in questi casi propongo ai miei pazienti di appoggiare la schiena al muro: aderisce prima l’osso sacro, poi aderiscono le scapole e, in casi come questo, la testa è sempre qualche centimetro (se non molti) più avanti!

Durante i workshop e il master invito sempre i partecipanti a pensare al loro studio e a individuare il quadro più brutto… è quello che potranno togliere per avere una porzione di parete libera, che sarà fondamentale in questa, ma anche in altre tecniche!

Più la testa è lontana dal muro, più la persona è stressata. Questa semplice misurazione empirica è molto  efficace perché il paziente “sente” fisicamente lo stato di non fisiologia corporea in cui si trova.

Sentire il corpo” è un elemento fondamentale dell’area di switch n.3, dove incontriamo diversi brain networks fondamentali per la nostra auto-regolazione. Uno ad esempio è il Salience Network, in cui l’insula valuta le risorse corporee a nostra disposizione rispetto a uno specifico problema da affrontare. In questo caso possiamo segnare sulla scheda un simbolo che ci riporti successivamente in quest’area per fare ulteriori valutazioni e tecniche ad hoc, come ad esempio sfruttare i movimenti lenti e in senso negativo dei grandi muscoli, che aiutano molto il lavoro dell’insula nei suoi processi alla base della consapevolezza e della percezione di risorse disponibili (Tecniche di Resource Balance).


In casi come questo – per favorire l’integrazione tra flussi posturali (area di switch n.5), consapevolezza (n.3) e meta-percezione di sé e della propria immagine sociale (n.4) 
 introduco anche il lavoro con le fotografie e le riprese video, che costituiscono un ottimo elemento meta-cognitivo e di assessment oggettivo che i pazienti possono confrontare con la propria percezione. Si tratta di elementi estremamente efficaci e che ingaggiano i pazienti rendendoli molto partecipativi nel lavoro terapeutico.

In alcune delle nostre ricerche abbiamo potuto rilevare in modo evidente che riducendo lo stress attraverso scelte di vita (ad esempio cambiando lavoro), oppure con un lavoro mirato al cambiamento, nel corso del tempo la distanza tra testa e muro si riduce un po’, come conseguenza del rilascio top-down del diaframma (ovvero la mente che si rilassa e il corpo, di conseguenza, ne trae beneficio). Di contro, se si abbina al lavoro di cambiamento o sviluppo una tecnica che agisce direttamente sul rilascio somato-emozionale del diaframma e delle catene muscolari coinvolte in questi meccanismi, il recupero è molto più rapido e consistente.

Con queste premesse è ora possibile introdurre una tecnica mirata. Ad esempio, la Respirazione a cicli incrociati, può essere usata con lo scopo di: riportare fisiologia nelle risposte di stress e al contempo dare sollievo alle zone cervicali e lombari, grazie ai movimenti della testa che sono abbinati alle diverse fasi respiratorie. In un secondo momento, quando la parte più corporea dell’esercizio comincia ad essere assimilata, è possibile attivare alcune varianti e abbinare un lavoro di analisi di pericolo e risorse, stando attenti a prendere in considerazione tutti i fattori in gioco da parte dei brain network che li regolano.

Nell’esempio precedente abbiamo visto solo alcuni degli elementi presenti in area 3, 4 e 5. La nostra analisi può – e deve – procedere ulteriormente.

In area 1 e 2 troviamo elementi primari in termini di complessità e di gerarchie funzionali. Ad esempio, già nel 2000 è stato messo in evidenza anche in modo ufficiale dall’American Psychiatric Association Task Force on DSM-IV che è possibile riscontrare uno stato infiammatorio e una disregolazione metabolica in ogni patologia o disfunzione mentale. Il cibo che mangiamo ogni giorno – per fare un esempio comune e quotidiano – e in particolare gli zuccheri che mobilitano l’insulina, hanno un ruolo centrale come causa o, come minimo, come fattore che amplifica significativamente diversi sintomi dello spettro di ansia e stress.

Su questo aspetto fino a qualche anno fa c’era poca consapevolezza, ma oggi si potrebbe parlare di una vera e propria epidemia: la maggior parte della popolazione occidentale presenta uno stato infiammatorio cronico e quasi la totalità della popolazione adulta presenta indicatori di stati infiammatori subclinici persistenti e correlati con disturbi fisici e/o mentali.

Seguendo il modello degli Switch, abbiamo introdotto una serie di domande nel primo colloquio relative allo stile di vita, alle abitudini alimentari, ai ritmi circadiani e altri fattori che alterano significativamente il metabolismo e lo stato infiammatorio. Si tratta, volendo fare una verifica strumentale, di condizioni facilmente rilevabili con esami del sangue fatti di routine.

Con semplici accorgimenti legati all’attività fisica, all’esposizione alla luce naturale e – di contro – la riduzione della luce blu emessa dai dispositivi digitali, la riduzione della quantità di zuccheri e proteine ingerite e una serie di altri fattori, nel giro di 3-4 settimane i pazienti percepiscono un netto miglioramento dell’umore e delle energie disponibili, anche se non stanno seguendo uno specifico processo terapeutico. Nel caso in cui, invece, questi accorgimenti accompagnano la fase iniziale del trattamento terapeutico, aumenta la compliance e diminuiscono le resistenze al cambiamento.

Questi risultati, che abbiamo verificato tramite diverse ricerche, sono facilmente comprensibili se si guarda ai meccanismi neurobiologici sottostanti. Lo stato infiammatorio amplifica le risposte emotive difensive, come è stato riscontrato da tutti gli studi su PTSD e stress cronico.

Un sistema iper-reattivo evita i pericoli e non è aperto al cambiamento. Inoltre l’infiammazione distrugge la rete neurale, mentre per il cambiamento e l’apprendimento servono plasticità ed energie disponibili.

Ripristinare queste condizioni favorevoli è il primo passo per creare le basi per il cambiamento, tutte le tecniche e gli interventi seguenti troveranno così la strada spianata. 

 

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